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NUOVO PATTO PER LA SICUREZZA

patto per la sicurezza

NUOVO PATTO PER LA SICUREZZA

NUOVO PATTO PER LA SICUREZZA CARCERARIA

 

di Sergio Rastrelli
Avvocato  Cassazionista

 

La riunione del Consiglio dei Ministri, nelle sale del Palazzo Reale di Napoli, il 21 maggio scorso ha rivestito senza dubbio – come era peraltro nelle intenzioni del Governo – una valenza simbolica, di grandi attenzione e sensibilità istituzionali nei confronti di una città e di un territorio feriti, in cui le situazioni emergenziali – dai rifiuti, sino alla criminalità – sono da tempo vissute come stabili, in un contesto di degrado civile e sociale in cui governare le criticità appare sempre più spesso, ancor più che difficile, del tutto inutile.
In termini più ampi, la riunione del Governo in carica nella nostra Città è coincisa con la illustrazione delle priorità di indirizzo del nuovo esecutivo, nell’ambito della cd. “terapia shock”, indicata dal Presidente del Consiglio quale “unica strada percorribile per favorire la ripresa e lanciare i primi segnali in ottica sviluppo”: i primi atti di indirizzo politico hanno così posto in essere misure di ordine economico – quali la soppressione della imposta comunale sulla prima casa, sino alla detassazione degli straordinari ed all’adeguamento delle pensioni minime – e di ordine tecnico giudiziario, sino a giungere a significativi provvedimenti in tema di sicurezza.
E’ stato infatti, nell’occasione, varato – contestualmente alla decisione di assunzione di quasi 4.000 unità per le forze dell’ordine – il cd. “pacchetto sicurezza“, composto da un decreto legge, un disegno di legge e tre decreti legislativi.

 

Il decreto legge, già ovviamente in vigore, contiene misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, e basa su più priorità: dal contrasto all’immigrazione clandestina, anche con l’introduzione di una nuova circostanza aggravante (qualora il reo si trovi “illegalmente sul territorio nazionale”), all’inasprimento del trattamento sanzionatorio nei confronti dei soggetti, in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, autori dei reati di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale; da nuove norme per la lotta alla criminalità organizzata, sino alla concessione di poteri straordinari ai prefetti per affrontare emergenze particolari dei singoli territori, ed ai sindaci – anche attraverso modiche al testo unico sugli enti locali – per assegnare ai primi cittadini più competenze in materia di sicurezza e salvaguardia del decoro urbano.

 

Sotto il profilo tecnico-processuale, nella linea politica di riduzione dei tempi del processo penale, sono stati poi previsti l’abrogazione del patteggiamento in appello, ulteriori restrizioni alle ipotesi di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, ampliate le fattispecie penali perseguibili con il rito del giudizio direttissimo e con quello del giudizio immediato, ed esteso il numero dei reati che rendono obbligatoria la detenzione inframuraria come modalità di espiazione della pena.
Nonostante, però, il decreto si presenti così ampio ed articolato, la attenzione della pubblica opinione si è soffermata sul rilievo di alcune norme processuali, che – inserite attraverso emendamenti in sede di legge di conversione – intendono garantire celerità ai processi, e superare quella intollerabilità dei carichi giudiziari, che poteva forse risolversi, già nel 2006, con l’adozione di un provvedimento di amnistia contestuale alla concessione dell’ indulto.

 

La particolare attenzione della pubblica opinione è certo dovuta alla circostanza che alcune norme processuali hanno drammaticamente rinnovato lo scontro fra magistratura e politica, che ha ormai raggiunto il proprio limite estremo.
Il testo della legge di conversione, attualmente all’attenzione delle Camere, prevede infatti, da un lato, l’indicazione politica di “priorità assolute” nella formazione dei ruoli d’udienza e nella trattazione dei processi, e, dall’altro, la sospensione per un anno dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 (con riferimento alla data dell’ultimo reato contestato) che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado (eccettuate naturalmente le ipotesi di maggior allarme sociale).

 

Rastrelli, Ascione, PellegrinoCiò ha determinato levate di scudi – e critiche di sovvertimento dell’ordine costituzionale -, per palese violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, poiché le norme non si limiterebbero a fissare «criteri di priorità», ma determinerebbero l’esclusione di fatto dell’azione penale per intere tipologie di reati, e perché la sospensione dei procedimenti sarebbe finalizzata esclusivamente a determinare la successiva perenzione di taluni di essi.
Nell’insanabile contrasto di posizioni, va però evidenziato, con grande chiarezza, come in realtà, e da tempo, dietro il sacrosanto principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, si vada praticando la libera discrezionalità, se non l’arbitrio, delle Procure nel selezionare i reati da perseguire e quelli da consegnare all’impunità, e va ribadito pertanto come il compito di stabilire tali priorità debba essere riservato esclusivamente, in sede politica, al legislatore.

 

Sotto diverso profilo, non v’è però dubbio come la introduzione di tali norme, avvenuta in sede di conversione del decreto legge sulla sicurezza, senza che ricorrano i requisiti della straordinarietà, necessità e urgenza – oltre che essere inopportuna e tendenzialmente anticostituzionale -, non possa essere condivisa nel metodi, poiché affidata a provvedimenti emergenziali, fuori da un qualunque approccio organico e ragionevole.

 

Con il varo di queste norme, il Governo ha legittimamente inteso porsi quale garante delle legittime aspettative di vita e sviluppo a cui giustamente tendono i cittadini, affinché si sentano rassicurati circa il libero esercizio dei loro diritti fondamentali, in un contesto di regole chiare, certe, imparziali e concretamente applicate.
Il rischio concreto è però che anche questo decreto legge possa ridursi ad un ulteriore intervento estemporaneo ed emergenziale, che tradisce, ancora una volta, la improcrastinabile necessità di avviare grandi riforme – organiche e strutturali – nel settore della giustizia penale, tali da contemperare efficienza e qualità del processo: occorre infatti operare, con assoluta urgenza, una riforma profonda della giustizia che realizzi un’alta qualità della giurisdizione, la tutela dei diritti di libertà dei singoli, e – quel che più conta – la salvaguardia della collettività nei suoi effettivi bisogni di sicurezza.